Giancappetti, l’ultimo maestro ceramiche dai colori del mare
Compie oggi 76 anni Giancappetti, al secolo Giovanni Capetti, il gentiluomo della ceramica. Da quarant’anni dipinge e disegna su terracotta con ostinata passione e mestiere. Oggi come allora, senza né computer né macchine. Caparbiamente e solo se non fosse per la figlia Maria Grazia che da qualche anno lo affianca nel grande capannone alle Porte di Pontecagnano. Conescerlo è un’esperienza, incontrarlo un privilegio. Giancappetti è un maestro di altri tempi, un po’ burbero a primo acchito, non incline all’ostentazione, al racconto di se. «Lavoro died ore al giorno, tutto qui, so quando inizio ma non so quando finisco». Non dice altro, non racconta certamente delle sue rig-giole che decorano le case più importanti e belle del mondo, da Hollywood a Yokoama, al Qatar. Non dice molto dello sceic-co arabo che gli ha ordinato il fondale per la propria piscina, né della villa californiana che ha i bagni decorati con scene napoletane del Settecento, o dello chalet in Valle d’Aosta dove i proprietari – lui piemontese e lei ligure – hanno voluto portare il solee il mare di Amalfi. «Arrivano committenze da ogni parte del mondo – rivela la giovane figlia – chiedono soprattutto maioliche per rivestimenti di ville e giardini ispirati ai colori e ai decori di Napoli e Vietri». È questo il mondo di Giancappetti, la Napoli del Settecento e la costiera amalfitana dove è nato e cresciuto. Le sue riggiole rincorrono i capolavori della grande tradizione sei e settecentesca dei maiolicari partenopei, primo fra tutti il Chiostro di Santa Chiara, che il maestro ha ripetuto più volte, persino per il salone da ballo di una nave da crociera olandese, la Rotterdam IV, destinata ai viaggi di miliardari americani. Motivi floreali geometrici, cornucopie traboccanti di frutta, racemi e ghirlande di fiori, tritoni e delfini, medaglioni con figure umane e animali compongono il suo ricco repertorio che attinge alla storia dell’arte; ma anche al paesaggio solare e marino della costiera amalfitana quando, dismessi i panni dell’artigiano su committenza, Giancappetti si dedica finalmente ai suoi pezzi unici. Piccole riggiole fatte per sé e qualche amico dove dipinge il suo mondo privato: il faro di Capo d’Orso, il fiordo di Furore, le cianciole di Cetara, i pescatori, il borgo di Erchie e Positano con la sua cupola maiolicata. Piccole opere darte che rivela-no l’universo semplice e poetico di Giancappetti dove il segno è quasi elementare, la figurazio-ne ingenua e toccante (come nelle sue Madonne con gli occhi azzurri), la tavolozza vivace. «Mio padre -– racconta faceva il guardiano del faro di Capo d’Orso, sono cresciuto lì da bambino, sulla spiaggia di Erchie, tra i gozzi dei pescatori e i tramonti sul mare». Fino al 1981 Giancappetti ha lavorato a Molina di Vietri, «dopo il secondo terremoto, nel 1981, fui costretto ad andarmene perchè il piano regolatore di Vietri non prevedeva più insediamenti artigianali superiori ai cinquecento metri quadri, così mi sono spostato nell’entroter-ra e a mie spese, senza alcun finanziamento se non un’elemo-sina di poco più di cento milioni di lire arrivata dopo dieci anni». Per il suo lavoro ha bisogno di spazi grandi – il suo capannone si estende oggi su oltre millemetri quadri -– dove deve poter sten-dere i suoi pavimenti, le sue composizioni, per controllare una ad una le sue riggiole. Vecchi metodi, di cui Giancappetti va fiero. È questo d’altronde che lo distingue dalla produzio-ne industriale di tanti ceramisti, che ne fa oggi uno degli ultimi autentici riggiolari.
La sua factory è un luogo di fascino con pile più o meno disordinate di piastrelle di ogni foggia e colore, a-cune accantonate, altre pronte per partire per chissà quale villa o albergo. Al centro c’è la vec-chia smaltatrice del 1970, ancora funzionante, in un angolo il forno che cuoce a novecento gradi. E da una parte la raccolta di antiche riggiole napoletane, ben ordinate su una scaffalatu-ra metallica: un patrimonioa torto considerato “minore”, recuperato negli anni, quà e là in giro per cantieri e palazzi abbandonati, vecchi rigattieri e mercati fuori porta. «E pensare che fino a qualche anno fa venivano buttate, oggi sono di gran moda nelle case napoletane e gli architetti di città vengono qui per scegliere questa o quella e ne ordinano copie precise per i loro clienti». Copie fatte a mano una ad una sub iscotto di tipo artigianale, nulla a che vedere con certe rifazioni industriali che riempiono i cataloghi.
Oggi – dicevamo – compie 76 anni Giancappetti: sta la-vorando ai “misteri del Rosario”, venti edicole votive per il semina-rio pontificio di Pontecagnano, ma confessa un sogno nel cassetto, «poter fare un grande pannello sulla costiera amalfitana, una mia interpretazione della sua luce e dei suoi colorì» e poi, dopo tanti no, magari decidersi ad accettare la proposta di una mostra a Napoli.
di Donatella Bernabò Silorata
Giovedì, 26 agosto 2004